domenica 29 gennaio 2012

Peppino Ippoliti


Peppino Ippoliti lavora al Comune e la sua mansione è quella di girare per i condomini ed avvisare la gente del fatto che i palazzi in cui vivono in quanto inagibili vanno evacuati.
In media il preavviso è di circa tre ore e quando non trovano nessuno in casa lasciano un biglietto sulla porta, c’è chi corre il rischio di tornare e di non trovare più il palazzo.
Erano le tre di pomeriggio dell’otto marzo quando il Signor Peppino Ippoliti bussò alla porta di casa mia.
Mia mamma era all’oratorio a bere le tisane con le sue migliori amiche.
Disse: “entro le sei dovete lasciare la casa poi inizieremo con la dinamite”.
Io gli chiesi perchè, quella era la mia casa, il mio palazzo, la mia cameretta.
Pensavo a tutti i poster attaccati alle pareti, non sarei mai riuscita a toglierli in tre ore. Continuavo a chiedergli una motivazione e lui non rispondeva, disse solo “senti gnoma ho mal di pancia e se non vuoi espoldere con i tuoi poster entro le sei esci da questa casa, altrimenti resta nella tua cameretta ed esplodi con essa” poi andò via.
Mia mamma arrivò poco dopo, le dissi quanto mi era stato riferito e le consegnai la lettera che Peppino mi aveva lasciato. Non l’ho mai letta ma lei sembrava sollevata.
Era tranquilla, ai miei poster non ci pensava.
Poi mi disse prendi l’indispensabile alle cinque e quindici dobbiamo uscire.
Ci vollero due ore per staccare Babar dalla parete, l’avevo attaccato con tanta cura perchè volevo che rimanesse lì per sempre. Poi presi il diario, i quaderni, i libri, la felpa del napoli, due paia di pantaloni, tre paia di calzini e due paia di mutandine. Il reggiseno all’epoca ancora non lo portavo.
Abbiamo assistito all’esplosione, il palazzo ripiegò su se stesso, sembrava una scatola di cartone accartocciata. Un boato, poi il silenzio, continuavo a non capire.
Dopo un anno tornò a farci visita Peppino che nel frattempo aveva cambiato lavoro, la sua mansione era diventata quella di dire alla gente che la loro nuova casa era pronta e che potevano lasciare il container.
Mia madre anche quel giorno non c’era e l’approccio di Peppino era lo stesso.
Nella nuova casa i pavimenti non vibrano più al passaggio delle centoventisette, non ci sono più i vetri a soffietto, non c’è più  niente di quello che c’era prima ma c’è una colonna fecale funzionante.
Il lavoro di Peppino non era facile ma secondo me non lo sapeva nemmeno fare.
Io all’epoca ero solo una bambina, lui vecchio del mestiere poteva aiutarmi a capire.
Poteva dirmi la tua casa sta per crollare e se non la facciamo saltare in aria noi crolla comunque e tu potresti rischiare di rimanerci sotto, il Comune ti vuole bene e non vuole farti del male.
Io avrei pianto lo stesso tutti i mie vecchi poster ma almeno non avrei passato un anno a cercare di capire cosa c’era che non andasse nella mia vecchia casa.
Ma lui niente disse tre frasi in fila.
Disse che noi dovevamo andare via, che lui aveva il mal di pancia e che io ero una gnoma.
C’ho messo un pò a farmene una ragione ed inizio a stare bene nella mia nuova cameretta anche se non riesco a ricordare più i ricordi quasi come se fossero rimasti sotto le macerie.
L’esplosione si quella la ricordo bene, forse è per questo che spero di non incontrare più Peppino al circolo del paese, la sua presenza ancora un pò mi urta.  


martedì, 19 aprile 2011

Nessun commento:

Posta un commento