domenica 29 gennaio 2012

Ma piuttosto


Vorrei scriverti ma piuttosto mi scrivo, vorrei chiederti scusa ma piuttosto mi domando di cosa, vorrei cercarti ma piuttosto mi trovo. Ho rivisto quello sguardo ma nel dubbio piuttosto guardo il mio che oggi è di più. Vorrei andare in vacanza alla casa al mare ma ora che è smesso di piovere devo solo concentrarmi sul raccolto e sradicare le piante carnivore dal campo. Voglio ma piuttosto oggi devo.

venerdì, 20 gennaio 2012

L' occhiello


Per mesi ne ho rifiutato l’ingresso. Lo lasciavo lì sull’uscio sentendolo gridare dalla porta, non capendo nemmeno cosa stesse dicendo. Volevo solo che arrivasse qualcuno e che lo portasse via da me, lontano.
Quando poi un bel giorno lui è riuscito ad entrare di nascosto dall’ occhiello.
Io ero sul divano che guardavo le televendite di Giorgio Mastrota. Lui esordisce dicendo “alla buon ora”. Sono saltata dallo spavento, non capivo chi fosse e soprattutto da dove fosse entrato. Non si è presentato ed io a quel punto con un fare inquisitorio ho iniziato a fare domande per capire chi fosse e da dove venisse. La sua risposta era sempre “dovresti saperlo tu”.
Inizialmente ero chiaramente impaurita ma più lui parlava e più mi veniva voglia di ascoltarlo, più si apriva e più capivo che non era lì per caso.
Mi ha raccontato che un tempo vivevamo insieme. Lui  era rinchiuso nel forno a microonde almeno fino a quando quel forno non ha smesso di funzionare ed io li ho buttati via entrambi, ma solo uno dei due consapevolmente. Non sapevo che vivesse lì e se l’avessi saputo forse avrei provato a ripararlo.
Abbiamo parlato per giorni o forse mesi senza che lui si presentasse. Ad un tratto durante una delle nostre conversazioni mi fa: “scusa, ma ora devo proprio andare” e poi continua “ah, comunque piacere, Dolore” e allunga una zampa.  Abbracciandomi mi sussurra in un orecchio “tranquilla, è solo un arrivederci”.


domenica, 27 novembre 2011

Il Guardiano della Notte


Forse dovrei accingermi verso il letto anche perchè l’ora sarebbe quella giusta ma è proprio quando mi rendo conto che è troppo tardi già da un pò che decido puntualmente di mettermi lo smalto imponendomi indirettamente di non poter più andare sotto le coperte altrimenti toccherei il piumone con le unghie e quindi mi dovrei rialzare per toglierlo e rimetterlo aspettando le luci dell’alba.
Anche se i comuni cittadini non lo sanno ogni città possiede un Guardiano della Notte ed è colui il quale veglia sul sonno di loro.
Io da piccina ad esempio soffrivo della sindrome del rapimento dei bambini che dormono ed è per questo che dormivo a pancia in giù col faccino di traverso sul cuscino e le manine che da sotto lo stringevano fortissimo. In questo modo mi raccontavo che se anche degli uomini malvagi mi avessero rapita per rasarmi i capelli trasformandomi poi nel giocoliere del circo di Moira Orfei i passanti avrebbero di certo notato qualcosa di strano ed avrebbero chiamato i poliziotti bravi che sarebbero accorsi in mio aiuto. Una bambina ed un cuscino stretto tra le mani non potevano certamente passare inosservati.
Ora che sono grande e che quella sindrome è ormai passata anche perchè al più Moira Orfei mi vorrebbe per mantenergli la contabilità passiva e non avrebbe bisogno di rasarmi i capelli o di rapirmi per convincermi a lavorare con lei vista la stima che nutro per la sua acconciatura e nonostante la scoperta della nobile professione del Guardiano della Notte quella che è me continua a preferire la luce per dormire.
Di notte è normale fare le cose in silenzio non è educato svegliare i vicini ad esempio anche gli amanti di notte non parlano ad alta voce ma al massimo fanno all’amore. Almeno così era un tempo, ora non so, forse è cambiato anche questo io nel frattempo ho smesso e di notte metto lo smalto che tra l'altro ora è asciutto indi per cui mi sento libera di lasciare andare le mie dita al sonno certa che il guardiano anche stanotte veglierà su di noi che siamo io e le mie unghie rosse.


giovedì, 03 novembre 2011

In mente


E che ci posso fare se spesso faccio le cose in mente. Anche nei locali a me capita spesso soprattutto appena arrivo di ballare in mente. Muovo i piedi, le mani, le dita di entrambi, il collo e la testa e ballo dentro. A volte degli uomini dagli sguardi languidi si avvicinano con un fare interessato e mi chiedeno: “ ma perchè non balli?” io rispondo loro “mah, in verità sto ballando” e loro scappano.
Anche a scuola ad esempio i compiti a casa io li facevo in mente e la maestra lo sapeva ed ogni mattina appena arrivavo in classe mi chiedeva di metterli in bella copia e per iscritto. All’inizio sembrava un pò infastidita ma in realtà poi imparò a volermi bene. Infatti una volta finiti i compiti per casa in classe mi mandava a fare il caffè per tutto il collegio dei docenti-maestri. Ma non l’ho mai vissuta come una punizione era il nostro accordo tacito. Io facevo i compiti per casa in mente a casa e poi per iscritto in classe. In cambio del suo silenzio con la mamma preparavo i caffè e quindi la maestra era buona perchè il fatto che io a casa disegnassi gli elefanti volanti invece di scrivere i compiti è sempre rimasto un nostro segreto. E’ anche vero che la mamma però non ha mai saputo che io giocavo con il fuoco dei fornelli.
Anche il mio essere felice si svolge molto in mente e se per eventi avversi ed in gran parte per mia natura raramente sale al di sopra del limite di quello che è considerato il livello socialmente accettabile per non rischiare l’emarginazione mi dispiace. Ultimamente però mi dispiace di più, sia per me perchè ho tenuto male in mente il limite che era un bel pò sotto la soglia ed è uscito fuori ed anche un pò per Piero che sia uno o più di uno che forse ha pensato che mi potessi chiamare Felicita Natale.  


sabato, 29 ottobre 2011

Il poggiapiedi


Scrivo fisicamente a terra. Fisicamente a terra vuol dire che sono seduta sul pavimento freddo e non che io soffra di una qualche malattia del corpo. Non sono brava a spiegarmi con i discorsi, parlo davvero poco bene. E’ un pò come se i concetti nel tragitto dal cervello alla bocca si disperdessero per poi prendere voce confusi in un ordine che non necessariamente è quello di partenza, perdendo così efficacia e chiarezza, ma non a caso non mi chiamo Concetta. Ricordo bene quando circa un anno fa, quando frequentavo la prima elementare, cercai di spiegare ai miei familiari che il mio studiare a terra non era un atteggiamento anticonformista ma seplicemente il risultato del fatto che avendo le gambe corte avvertivo una certa stanchezza nel tenerle a penzoloni sulla sedia e dissi loro che quella scrivania stile antico alta quanto il quinto piano di una libreria di ergonomico aveva al massimo i pomelli dei cassetti. Fui così chiara che decisero di portarmi dal dottore perchè erano preoccupati per il mio crescere così lentamente e il risultato fu che la mattina appena sveglia prima di mangiare un bel cucchiaino di pappa reale c’era quella gustosa dose di olio di fegato di merluzzo. Ancora mi domando quanto sarebbe stato più semplice fare un falò con quei legni, comprare una nuova scrivania almeno del novecento e proprio esagerando un poggiapiedi. Forse anch’io avrei potuto dire la verità, ossia che quel pavimento aveva i poteri. D’ estate infatti era il posto più fresco della casa e d’inverno invece c’erano quelle da me definite le mattonelle preferite che si riscaldavano da sole. Ma in realtà loro non mi avrebbero creduta ed avrebbero certamente gridato al guasto chiamando l’idraulico per far riparare le tubazioni che passavano sotto la pavimentazione della mia cameretta, quindi tutto sommato credo sia stato meglio così. Sto finendo di scrivere, sono fisicamente sulla sedia, le gambe toccano a terra e per fortuna alla nascita per qualche strano motivo mi dotarono di una discreta dose di intelligenza da capire che se gli altri vedono in noi un problema non è detto che necessariamente esista o che per noi lo sia. Stasera però avevo bisogno di ricordarmi che a meno che tu da grande non voglia fare il salto in lungo o la corsa agli ostacoli non servono centocinquanta centimetri di gambe. 

lunedì, 24 ottobre 2011

L' Influenza


Che bello tornare a casa e trovare il brodino caldo preparato con tanta cura dalla mamma. Il brodino con le verdure fresche e il formaggino Susanna. La mamma sa già quando hai il raffreddore alle ossa e non devi nemmeno chiamarla la sera prima di uscire dall’ufficio per ordinarle le cure, lei è a casina che aspetta solo quello. La mia mamma stasera mi ha rimboccato le coperte e adesso sono qui nel mio lettino caldo che scrivo la mia influenza. La mia influenza in realtà non è un virus credo piuttosto che sia una sorta di malattia mentale. Infatti prima quando la mia mamma preparava il brodino ed io ero lì che la guardavo con ammirazione mi sono resa conto che quella vicino ai fornelli ero io anche perchè l’altra non è così bassa e poi ha i capelli biondi e gli occhi azzurri come le donne del nord-est Europa e nel domandarmi se effettivamente io sono la figlia di lei mi è venuto il dubbio che io sia la madre di me perchè sicuramente in questo modo mi somiglierei di più. Ma la verità è che oggi avrei voluto che fosse qui o forse vorrei essere io lì, nella casa dei ricordi, nella città con più memoria. E’ frequente per me sentire le mancanze, ma questa non è tra quelle ricorrenti. Quelle ricorrenti sono quando la mattina mi sveglio e mi accorgo di aver finito i cotton fioc e mi rendo conto che mi mancano, mi manca l’orgasmo del condotto uditivo che solo quei bastoncino possono provocare. O ancora quando apro il frigo e non trovo i carciofini sott’olio misto aceto e mi mancano perchè mi manca l’orgasmo delle papille gustative che quei vegetali poco fortunati nel loro aspetto riescono a darmi. Ci sono cose delle quali cerco di non approfondire la mancanza come ad esempio quando mi manca il pigiamino rosa con gli orsetti che è sempre lì nell’armadio a muro nel corridoio lato notte, o ancora quel gesto ordinario che facevo ogni sera prima di lasciarmi andare al sonno, ossia di tirare su il letto-brandina che di giorno giaceva sotto l’armadio a ponte e il suo scricchiolare ad ogni mio movimento, quanto l’ho odiato e quanto stanotte vorrei restare sveglia ad ascoltarlo. Forse è solo l’influenza.

sabato, 22 ottobre 2011

Serena


A volte succedono giorni in cui gli eventi sembrano ammassati quasi come vestiti lanciati alla rovescia per mesi in un armadio che aprendo l’anta ci sommergono con tutta la voglia di essere ripiegati. Svegliarmi senza aver già voglia della notte, del momento prima di addormentarmi.
Alle otto e trenta ero già in trincea e questo doveva essere il secondo indizio. Oggi il primo scontro a freddo è avvenuto intorno alle dieci orario in cui di solito mi accingo ad indossare l’elmetto.
Lo scontro non è avvenuto a caldo perchè la superficilità e l’ignoranza della gente purtroppo non possono combattersi col fuoco anche perchè altrimenti si vivrebbe nel Far West.
Quella chiamata T27 della Ericsson però proprio non la doveva fare ed oggi ho scoperto che non era la prima volta che prendeva iniziativa. L’ ho minacciato, gli ho detto che se non la smette di fare quello che gli pare gli levo i tasti ad uno ad uno, poi l’antenna provocandogli dolore fisico e gli metto la mascherina pitonata rosa confetto cosicchè tutti lo deridano e lui infine, quasi in lacrime, mi ha promesso che non lo farà più.
Poi è arrivato Passato, che evidentemente non era lì presente per me, ma visto che il mio telefono l’aveva chiamato anche se senza il mio permesso lui si è sentito libero di condividere la di me scrivania.
Mi preoccupavo del fatto che così da vicino potesse osservare tutte le imperfezioni del mio viso. La cosa mi ha inquietata fino a quando non ho innalzato un muro fatto da un foglio excel colorato che filtravo e defiltravo creando degli effetti di luci sulle pareti grigie generavano ombre fatte di scritte che leggevo e rileggevo a bassa voce per essere sicura di comprenderle bene e di non perdere di vista l’obiettivo. Uscita dal campo di battaglia e dirigendomi verso casa per andare a rimettere in forno l’armatura mi stupivo di quanto oggi andassi piano con il mio scooter bruttino come solo lui sa essere e non so bene la ragione, ma ridevo. Andavo piano e la gente intorno a me sembrava aver fretta. Sorpassava a destra ma solo perchè non aveva trovato il modo di passarmi attraverso ed a sinistra poi sarebbe stato troppo prevedibile. Un tizio con un motorino molto più carino del mio pensava che la strada fosse una pista di macchinine da scontro ma io però non ero stata avvisata del gioco e quindi con lui non stavo giocando. Lì ho realizzato che quello che sarebbe stato il testimone oculare dell’omicio di me mi stava seguendo. In realtà il dubbio c’era, inizialmente non avevo ben capito se quello daveva essere il di lui percorso ma quando ha iniziato a parlarmi ho realizzato che a differenza di Passato lui mi stava rincorrendo dai campi di battaglia. Dall’età sembrerebbe un Caporal Maggiore certamente di un altro battaglione perchè non mi sembra di averlo mai incontrato durante la marcia del mattino. La mamma mi ha insegnato che non devo fermarmi a parlare con gli sconosciuti ma oggi sono stata disobbediente e con il senno di poi devo dire che avrei dovuto iniziare a farlo prima.
Non so quanto Caporal Maggiore abbia utilizzato abili trucchi di battaglia o forse quanto in realtà oggi fossi pronta io a lasciarmi fermare.
 La sensazione è quella di aver vinto una lunga guerra contro me stessa e non è di certo per l’incontro ma perchè non sono caduta nell’ultima battaglia. Serena cala la notte.


mercoledì, 21 settembre 2011