domenica 29 gennaio 2012

Ma piuttosto


Vorrei scriverti ma piuttosto mi scrivo, vorrei chiederti scusa ma piuttosto mi domando di cosa, vorrei cercarti ma piuttosto mi trovo. Ho rivisto quello sguardo ma nel dubbio piuttosto guardo il mio che oggi è di più. Vorrei andare in vacanza alla casa al mare ma ora che è smesso di piovere devo solo concentrarmi sul raccolto e sradicare le piante carnivore dal campo. Voglio ma piuttosto oggi devo.

venerdì, 20 gennaio 2012

L' occhiello


Per mesi ne ho rifiutato l’ingresso. Lo lasciavo lì sull’uscio sentendolo gridare dalla porta, non capendo nemmeno cosa stesse dicendo. Volevo solo che arrivasse qualcuno e che lo portasse via da me, lontano.
Quando poi un bel giorno lui è riuscito ad entrare di nascosto dall’ occhiello.
Io ero sul divano che guardavo le televendite di Giorgio Mastrota. Lui esordisce dicendo “alla buon ora”. Sono saltata dallo spavento, non capivo chi fosse e soprattutto da dove fosse entrato. Non si è presentato ed io a quel punto con un fare inquisitorio ho iniziato a fare domande per capire chi fosse e da dove venisse. La sua risposta era sempre “dovresti saperlo tu”.
Inizialmente ero chiaramente impaurita ma più lui parlava e più mi veniva voglia di ascoltarlo, più si apriva e più capivo che non era lì per caso.
Mi ha raccontato che un tempo vivevamo insieme. Lui  era rinchiuso nel forno a microonde almeno fino a quando quel forno non ha smesso di funzionare ed io li ho buttati via entrambi, ma solo uno dei due consapevolmente. Non sapevo che vivesse lì e se l’avessi saputo forse avrei provato a ripararlo.
Abbiamo parlato per giorni o forse mesi senza che lui si presentasse. Ad un tratto durante una delle nostre conversazioni mi fa: “scusa, ma ora devo proprio andare” e poi continua “ah, comunque piacere, Dolore” e allunga una zampa.  Abbracciandomi mi sussurra in un orecchio “tranquilla, è solo un arrivederci”.


domenica, 27 novembre 2011

Il Guardiano della Notte


Forse dovrei accingermi verso il letto anche perchè l’ora sarebbe quella giusta ma è proprio quando mi rendo conto che è troppo tardi già da un pò che decido puntualmente di mettermi lo smalto imponendomi indirettamente di non poter più andare sotto le coperte altrimenti toccherei il piumone con le unghie e quindi mi dovrei rialzare per toglierlo e rimetterlo aspettando le luci dell’alba.
Anche se i comuni cittadini non lo sanno ogni città possiede un Guardiano della Notte ed è colui il quale veglia sul sonno di loro.
Io da piccina ad esempio soffrivo della sindrome del rapimento dei bambini che dormono ed è per questo che dormivo a pancia in giù col faccino di traverso sul cuscino e le manine che da sotto lo stringevano fortissimo. In questo modo mi raccontavo che se anche degli uomini malvagi mi avessero rapita per rasarmi i capelli trasformandomi poi nel giocoliere del circo di Moira Orfei i passanti avrebbero di certo notato qualcosa di strano ed avrebbero chiamato i poliziotti bravi che sarebbero accorsi in mio aiuto. Una bambina ed un cuscino stretto tra le mani non potevano certamente passare inosservati.
Ora che sono grande e che quella sindrome è ormai passata anche perchè al più Moira Orfei mi vorrebbe per mantenergli la contabilità passiva e non avrebbe bisogno di rasarmi i capelli o di rapirmi per convincermi a lavorare con lei vista la stima che nutro per la sua acconciatura e nonostante la scoperta della nobile professione del Guardiano della Notte quella che è me continua a preferire la luce per dormire.
Di notte è normale fare le cose in silenzio non è educato svegliare i vicini ad esempio anche gli amanti di notte non parlano ad alta voce ma al massimo fanno all’amore. Almeno così era un tempo, ora non so, forse è cambiato anche questo io nel frattempo ho smesso e di notte metto lo smalto che tra l'altro ora è asciutto indi per cui mi sento libera di lasciare andare le mie dita al sonno certa che il guardiano anche stanotte veglierà su di noi che siamo io e le mie unghie rosse.


giovedì, 03 novembre 2011

In mente


E che ci posso fare se spesso faccio le cose in mente. Anche nei locali a me capita spesso soprattutto appena arrivo di ballare in mente. Muovo i piedi, le mani, le dita di entrambi, il collo e la testa e ballo dentro. A volte degli uomini dagli sguardi languidi si avvicinano con un fare interessato e mi chiedeno: “ ma perchè non balli?” io rispondo loro “mah, in verità sto ballando” e loro scappano.
Anche a scuola ad esempio i compiti a casa io li facevo in mente e la maestra lo sapeva ed ogni mattina appena arrivavo in classe mi chiedeva di metterli in bella copia e per iscritto. All’inizio sembrava un pò infastidita ma in realtà poi imparò a volermi bene. Infatti una volta finiti i compiti per casa in classe mi mandava a fare il caffè per tutto il collegio dei docenti-maestri. Ma non l’ho mai vissuta come una punizione era il nostro accordo tacito. Io facevo i compiti per casa in mente a casa e poi per iscritto in classe. In cambio del suo silenzio con la mamma preparavo i caffè e quindi la maestra era buona perchè il fatto che io a casa disegnassi gli elefanti volanti invece di scrivere i compiti è sempre rimasto un nostro segreto. E’ anche vero che la mamma però non ha mai saputo che io giocavo con il fuoco dei fornelli.
Anche il mio essere felice si svolge molto in mente e se per eventi avversi ed in gran parte per mia natura raramente sale al di sopra del limite di quello che è considerato il livello socialmente accettabile per non rischiare l’emarginazione mi dispiace. Ultimamente però mi dispiace di più, sia per me perchè ho tenuto male in mente il limite che era un bel pò sotto la soglia ed è uscito fuori ed anche un pò per Piero che sia uno o più di uno che forse ha pensato che mi potessi chiamare Felicita Natale.  


sabato, 29 ottobre 2011

Il poggiapiedi


Scrivo fisicamente a terra. Fisicamente a terra vuol dire che sono seduta sul pavimento freddo e non che io soffra di una qualche malattia del corpo. Non sono brava a spiegarmi con i discorsi, parlo davvero poco bene. E’ un pò come se i concetti nel tragitto dal cervello alla bocca si disperdessero per poi prendere voce confusi in un ordine che non necessariamente è quello di partenza, perdendo così efficacia e chiarezza, ma non a caso non mi chiamo Concetta. Ricordo bene quando circa un anno fa, quando frequentavo la prima elementare, cercai di spiegare ai miei familiari che il mio studiare a terra non era un atteggiamento anticonformista ma seplicemente il risultato del fatto che avendo le gambe corte avvertivo una certa stanchezza nel tenerle a penzoloni sulla sedia e dissi loro che quella scrivania stile antico alta quanto il quinto piano di una libreria di ergonomico aveva al massimo i pomelli dei cassetti. Fui così chiara che decisero di portarmi dal dottore perchè erano preoccupati per il mio crescere così lentamente e il risultato fu che la mattina appena sveglia prima di mangiare un bel cucchiaino di pappa reale c’era quella gustosa dose di olio di fegato di merluzzo. Ancora mi domando quanto sarebbe stato più semplice fare un falò con quei legni, comprare una nuova scrivania almeno del novecento e proprio esagerando un poggiapiedi. Forse anch’io avrei potuto dire la verità, ossia che quel pavimento aveva i poteri. D’ estate infatti era il posto più fresco della casa e d’inverno invece c’erano quelle da me definite le mattonelle preferite che si riscaldavano da sole. Ma in realtà loro non mi avrebbero creduta ed avrebbero certamente gridato al guasto chiamando l’idraulico per far riparare le tubazioni che passavano sotto la pavimentazione della mia cameretta, quindi tutto sommato credo sia stato meglio così. Sto finendo di scrivere, sono fisicamente sulla sedia, le gambe toccano a terra e per fortuna alla nascita per qualche strano motivo mi dotarono di una discreta dose di intelligenza da capire che se gli altri vedono in noi un problema non è detto che necessariamente esista o che per noi lo sia. Stasera però avevo bisogno di ricordarmi che a meno che tu da grande non voglia fare il salto in lungo o la corsa agli ostacoli non servono centocinquanta centimetri di gambe. 

lunedì, 24 ottobre 2011

L' Influenza


Che bello tornare a casa e trovare il brodino caldo preparato con tanta cura dalla mamma. Il brodino con le verdure fresche e il formaggino Susanna. La mamma sa già quando hai il raffreddore alle ossa e non devi nemmeno chiamarla la sera prima di uscire dall’ufficio per ordinarle le cure, lei è a casina che aspetta solo quello. La mia mamma stasera mi ha rimboccato le coperte e adesso sono qui nel mio lettino caldo che scrivo la mia influenza. La mia influenza in realtà non è un virus credo piuttosto che sia una sorta di malattia mentale. Infatti prima quando la mia mamma preparava il brodino ed io ero lì che la guardavo con ammirazione mi sono resa conto che quella vicino ai fornelli ero io anche perchè l’altra non è così bassa e poi ha i capelli biondi e gli occhi azzurri come le donne del nord-est Europa e nel domandarmi se effettivamente io sono la figlia di lei mi è venuto il dubbio che io sia la madre di me perchè sicuramente in questo modo mi somiglierei di più. Ma la verità è che oggi avrei voluto che fosse qui o forse vorrei essere io lì, nella casa dei ricordi, nella città con più memoria. E’ frequente per me sentire le mancanze, ma questa non è tra quelle ricorrenti. Quelle ricorrenti sono quando la mattina mi sveglio e mi accorgo di aver finito i cotton fioc e mi rendo conto che mi mancano, mi manca l’orgasmo del condotto uditivo che solo quei bastoncino possono provocare. O ancora quando apro il frigo e non trovo i carciofini sott’olio misto aceto e mi mancano perchè mi manca l’orgasmo delle papille gustative che quei vegetali poco fortunati nel loro aspetto riescono a darmi. Ci sono cose delle quali cerco di non approfondire la mancanza come ad esempio quando mi manca il pigiamino rosa con gli orsetti che è sempre lì nell’armadio a muro nel corridoio lato notte, o ancora quel gesto ordinario che facevo ogni sera prima di lasciarmi andare al sonno, ossia di tirare su il letto-brandina che di giorno giaceva sotto l’armadio a ponte e il suo scricchiolare ad ogni mio movimento, quanto l’ho odiato e quanto stanotte vorrei restare sveglia ad ascoltarlo. Forse è solo l’influenza.

sabato, 22 ottobre 2011

Serena


A volte succedono giorni in cui gli eventi sembrano ammassati quasi come vestiti lanciati alla rovescia per mesi in un armadio che aprendo l’anta ci sommergono con tutta la voglia di essere ripiegati. Svegliarmi senza aver già voglia della notte, del momento prima di addormentarmi.
Alle otto e trenta ero già in trincea e questo doveva essere il secondo indizio. Oggi il primo scontro a freddo è avvenuto intorno alle dieci orario in cui di solito mi accingo ad indossare l’elmetto.
Lo scontro non è avvenuto a caldo perchè la superficilità e l’ignoranza della gente purtroppo non possono combattersi col fuoco anche perchè altrimenti si vivrebbe nel Far West.
Quella chiamata T27 della Ericsson però proprio non la doveva fare ed oggi ho scoperto che non era la prima volta che prendeva iniziativa. L’ ho minacciato, gli ho detto che se non la smette di fare quello che gli pare gli levo i tasti ad uno ad uno, poi l’antenna provocandogli dolore fisico e gli metto la mascherina pitonata rosa confetto cosicchè tutti lo deridano e lui infine, quasi in lacrime, mi ha promesso che non lo farà più.
Poi è arrivato Passato, che evidentemente non era lì presente per me, ma visto che il mio telefono l’aveva chiamato anche se senza il mio permesso lui si è sentito libero di condividere la di me scrivania.
Mi preoccupavo del fatto che così da vicino potesse osservare tutte le imperfezioni del mio viso. La cosa mi ha inquietata fino a quando non ho innalzato un muro fatto da un foglio excel colorato che filtravo e defiltravo creando degli effetti di luci sulle pareti grigie generavano ombre fatte di scritte che leggevo e rileggevo a bassa voce per essere sicura di comprenderle bene e di non perdere di vista l’obiettivo. Uscita dal campo di battaglia e dirigendomi verso casa per andare a rimettere in forno l’armatura mi stupivo di quanto oggi andassi piano con il mio scooter bruttino come solo lui sa essere e non so bene la ragione, ma ridevo. Andavo piano e la gente intorno a me sembrava aver fretta. Sorpassava a destra ma solo perchè non aveva trovato il modo di passarmi attraverso ed a sinistra poi sarebbe stato troppo prevedibile. Un tizio con un motorino molto più carino del mio pensava che la strada fosse una pista di macchinine da scontro ma io però non ero stata avvisata del gioco e quindi con lui non stavo giocando. Lì ho realizzato che quello che sarebbe stato il testimone oculare dell’omicio di me mi stava seguendo. In realtà il dubbio c’era, inizialmente non avevo ben capito se quello daveva essere il di lui percorso ma quando ha iniziato a parlarmi ho realizzato che a differenza di Passato lui mi stava rincorrendo dai campi di battaglia. Dall’età sembrerebbe un Caporal Maggiore certamente di un altro battaglione perchè non mi sembra di averlo mai incontrato durante la marcia del mattino. La mamma mi ha insegnato che non devo fermarmi a parlare con gli sconosciuti ma oggi sono stata disobbediente e con il senno di poi devo dire che avrei dovuto iniziare a farlo prima.
Non so quanto Caporal Maggiore abbia utilizzato abili trucchi di battaglia o forse quanto in realtà oggi fossi pronta io a lasciarmi fermare.
 La sensazione è quella di aver vinto una lunga guerra contro me stessa e non è di certo per l’incontro ma perchè non sono caduta nell’ultima battaglia. Serena cala la notte.


mercoledì, 21 settembre 2011

Apnee


Le apnee sono quei momenti in cui all’improvviso ti manca l’aria, il cervello non si ossigena, non ragioni e quando poi pensi che stai per morire quasi per ripicca l’apnea va via e rirespiri come se tutto fosse successo.
Esistono due tipi di apnee. C’è  quella colposa-visiva ossia quando ad esempio la mattina ti alzi vai allo specchio, ti guardi, realizzi che quel mostro sei tu e il respiro viene a mancare. La convalescenza dura circa venti minuti il tempo di una doccia e un pò di trucco.
Poi c’è quella dolosa-acquatica ossia quando terze parti intervengono in maniera non poco dominante nelle esistenze di quelli che siamo noi e come massi attaccati alle caviglie per non dire alle palle ti trascinano sott’acqua provocando apnee talvolta brevi e superficiali, talvolta più profonde e durature. La convalescenza varia da uno a centoventisettemilatre anni.
Se alla stanchezza polmonare causata dal prendere e riprendere fiato poi si aggiunge la demenza causata dai momenti in cui l’ossigeno viene meno l’esitenza assume un peso pesante, le facolta’ intellettive si azzerano ed inizi paradossalmente a pensare che i piccioni in fondo siano anch’essi delle creature meravigliose titalari di diritti e doveri.
Visto che stavo per superare il limite consono della follia a causa delle continue apnee dalle quali per lunghi periodi mi sono lasciata dominare, il medico della famiglia, quella che si compone di me e del nucleo che sono io, mi ha prescritto una bombola pressurizzata con ventotto anni di ossigeno all’interno.  Non so bene se sono pochi  e comunque per sicurezza sto già mettendo da parte dei danari. Se inizio a risparmiare stanotte tra altri ventotto anni dovrei avere almeno cinquemila lire sul conto arancio e ad occhio e croce rossa considerando l’inflazione una ricarichina da circa dieci anni di ossigeno dovrei riuscire a permettermela.
Adesso quando i piccioni fanno i loro bisognini in volo sui miei panni stesi e poi soddisfatti e fieri si riposano sulla ringhiera del balcone non sto più lì a fargli il solletichino sotto le ali e non gli mando più i bacini dalla finestra. Devo dire che la situazione è già notevolemnte migliorata. 


martedì, 13 settembre 2011

Amerigo


La testa chiusa in una gabbia di plastica, un corpo immobile in un tunnel bianco, intensi rumori, i pensieri forse ancora più assordanti. Ho ripensato al vicino viaggio nelle Olande, al modo in cui mi ostinassi a cercare in luglio i tulipani rossi. Scorgevo solo mucche grigie e capre gialle, pecore nere e ruscelli verde oliva, un paesaggio incantato ma non era quello che volevo vedere. Ho ripensato ai tempi più lontani, quelli della pipì in piedi, dei calzoncini rossi a righe blu, delle camicie a quadri, delle figurine Panini, delle imitazioni di  Paolo Villaggio ed a quando con gli occhialini da nuotatore mi travestivo da ragionier Filini. Ripensavo ai tempi in cui la differenza tra l’essere innamorato o fidanzato non è ben chiara, a quando i grandi con insistenza fanno domande del tipo “e tu ce l’hai il fidanzatino?”, la risposta è quasi sempre “si” e poi “ah si, e lui lo sa?” la risposta del bambino è spesso “no” ma a sette anni e meno male poco conta. Ho ripensato a quando da grande volevo fare Andreotti e a quando credevo nella politica più di quanto credessi in Babbo Natale anche se per l’età mi sarei dovuta concentrare sul secondo.
Ho pensato poi a quello che era il giorno di oggi, al mio non essere tutto ciò che non sono diventata. Non sono Andreotti, credo più a Babbo Natale che alla politica, ho sofferto per anni della sindrome di Cristoforo Colombo recentemente mi ero trasformata in una cacciatrice cieca di tulipani d’estate. Oggi voglio essere Amerigo.
Vado allo specchio, mi strucco con i dischetti di cotone della Lidl, non sono le rughe ma è l’abitudine a quello sguardo della lei che adesso è me che ancora manca.


venerdì, 29 luglio 2011

Il mercatino dell' usato


Qualche tempo fa da Zara vidi una donna che con arrogante insistenza mostrava alla commessa un maglioncino nero a V un pò usurato e le diceva: “ne voglio uno uguale, ce l’ha uno uguale? L’ho acquistato qui circa venticinque anni fa e adesso ne vorrei uno identico”. La commessa con estrema gentilezza e mostrando anche un certo rammarico cercò di far capire alla giovane donna anziana che ormai quel golf era fuori produzione ma che comunque nella nuova linea ne avrebbe trovati di nuovi alla moda e di migliore qualità. La donna presa da un imbarazzante crisi di nervi iniziò ad urlare : ” ho detto che ne voglio uno identico ma nuovo, non potete permettervi di vendere dei prodotti e poi di non rivenderli mai più”. La commessa basita dalla reazione della donna non riuscì a trattenersi dal rispondere dimenticandosi del fatto che nonostante l’ assurda pretesa il cliente in quanto tale e per definizione ha sempre ragione: “giovane donna anziana, i maglioncini a V non sono mica come gli uomini che può commissionare ad un sarto e farseli fare su misura ogni volta che vuole? Quel maglioncino orami obsoleto andrebbe sostituito e se anche dovesse trovare un sarto tanto folle da decidere di riprodurlo come forse ha fatto con il suo sesto marito imitazione del quinto si ricordi che resterà pur sempre una mera copia del primo privo di storia, tra l'altro se fosse mia nonna le consiglierei di smetterla di vestire di nero simbolo della sua defunta verginità”. Il direttore intervenne allontanando la commessa e regalando alla donna un foulard a nido di rondine color noce pesca.
Il giorno dopo tornai da Zara per parlare con la commessa volevo chiederle il numero di telefono del sarto, lei non c’era, credo che le fosse avvenuto il licenziamento però c’era la giovane donna anziana che reclamava la mancanza di un paio di calze sexy leopardate che la sua amica Ottavia aveva acquistato lì durante la chiusura degli accordi di Bretton Woods. La nuova commessa reagì in malo modo, il direttore questa volta regalò alla donna un paio di reggicalze con le borchie ed io chiaramente non reperii il numero del sarto.
Mi allettava l’idea di farmi fare un uomo della mia taglia, alto il gisto per evitare di non sentirmi all’altezza.
Camminando verso casa realizzai che solo un tonno avrebbe abboccato alla storia del sarto e che gli uomini così come le donne si trovano sulle bancarelle al mercato dell’usato, dove nessun pezzo è uguale all’altro e dove tutto ha già una storia da raccontare nuova per chi sarà pronto ad ascoltare.
Luglio forse è un mese troppo caldo per andare al mercato soprattutto per chi ogni tanto soffre ancora di cali di pressione.


martedì, 05 luglio 2011

Lucciola


Quella Lucciola di Città del Messico volava piano ma brillava certamente forte. Un puntino che pulsava con lo stesso ritmo di un cuore che batte. Riusciva da sola ad illuminare quell’angolo di foresta. Ma la paura del buio, la mia paura del buio, era troppo più forte, non potevo restare. Avrei potuto catturarla in una bottiglia piena di fori per la respirazione e farla diventare il mio lume per le letture notturne, non lo feci. All’epoca non leggevo. Pensai che forse in  quell’angolo di foresta quella Lucciola aveva una mamma che l’amava tanto, una mamma che le preparava i dolci alla ricotta con la cioccolata e che durante il week-end le stirava le cinque camicie che avrebbe indossato durante la settimana e pensai anche che forse il giovane comune di Pescia non sarebbe stato pronto ad accogliere nella sua comunita’ una clandestina arrivata dal lontano Messico. Tra le luci finte della città era già troppo tardi per i dubbi, per domandarsi se anche lei come me in realtà avesse solo paura del buio e se in quella foresta non ci fosse stato nessuno ad aspettarla a casa la sera, qualcuno che le comprasse il cocomero baby all’ Esselunga per festeggiare la promozione datagli dal capo Roberto e che le portasse il caffè a letto al mattino. Quella notte non c’era tempo per pensare ed anche del dubbio non può che restare la scelta.

martedì, 14 giugno 2011

Il grattacielo


Un giorno d’autunno in un paese non troppo lontano nacque una piccola Principessa dai capelli biondi come il risotto allo zafferano e dagli occhi legno mogano come il baldacchino della stanza del Re Padre e dell’ Ape Regina Madre.
Al suo battesimo una strega cattiva travestita da chirichetto le fece un sortilegio: “piccola palla di fieno, per tutto il tuo sempre girerai diverse stalle, dalle stalle vivrai e vedrai numerose stelle le più lontane saranno quelle dove sognerai di andare, nell’altrove non esisterà il tuo dove ”.
La piccola principessa iniziò a girare presto il mondo, convinta che prima o poi avrebbe trovato il luogo incantato e il principe azzurro dal cavallo alato. Anni di valigie, di vecchi amici tanti, di nuovi amici pochi, di solitudine, di amori e forse più di passioni. Passeggera verso il passeggero. Domani, parto.
Su di un grattacielo Leila incontrò la fata Nerina che a differenza della Turchina non possedeva pozioni magiche, ma con lenti senza filtri mostrava in sfere di cristallo i sortilegi del passato liberando le favole del futuro.
C’era una volta...


mercoledì, 08 giugno 2011

Lo sgabello


Aprivo libri e cadevano fogli e con i fogli piovevano ricordi.
Scontrini ammassati dal 2007, bollettini delle presenze on line, telegrammi, scontrini di tastiere, biglietti aerei per Doha, Boston, Mx City, Londra, cartine geografiche, depliant di scooter, i preventivi per il mutuo, la tessera elettorale, la tessera sanitaria.
Le persone ordinate certe cose le fanno accadere nei cassetti e se ne vedono bene dal riaprirli.
La mia libreria era diventata una cassettiera i di cui cassetti erano i libri.
Ho riposto i miei tre anni di ricordi in carta in una bacinella piena d’acqua li ho strizzati per poi lavorarli  a mano fino a farli diventare un cubo di circa settanta centimetri per settanta.
Tra un paio di giorni il cubo si solidificherà ed allo stesso darò la funzione domestica dello sgabello da scrivania.
Per fortuna non ci si siede con la testa o con l’addome e quei ricordi tramite una semplicissima associazione di idee potranno facilmente rendersi conto del posto in cui sono stati mandati. Più di tutti dovranno capirlo quelli belli che ancora ancorano il passato al presente impedendogli di trapassare.
La prima cosa che comprerò per la mia nuova cameretta sarà una cassettiera. Lo sgabello di carta invece non è tra gli oggetti da traslocare. 

domenica, 22 maggio 2011Anchor

I Lego


Giocavo con i Lego da quando avevo ventotto mesi. Costruivo mostri di tutte le dimensioni. “Guarda! Guarda che bei mostri che costruisce Carmela, lei è una bambina prodigio”. La parola prodigio ancora oggi mi provoca l’orticaria.
Non mi limitavo ad incastrare i pezzi. Con i colori ad olio della Maimeri dipingevo: occhi , nasi, orecchie, bocche, capelli e se necessario baffi e pizzetti. La scelta dei colori era tutt’altro che casuale. I miei familiari pensavano che fossero personaggi dei cartoni animati e questo mi fa riflettere su quanto fossi seguita nelle mie attività quotidiane. Se così fosse stato avrei dovuto costruire elefanti. Forse però non ero nemmeno così brava, loro non si sono mai riconosciuti.
Era mia abitudine dormire nel ripostiglio dei mostri Lego. L’ho fatto fino a quando una sera, presa da un colpo di sonno e con la sigaretta in mano ho dato fuoco al tutto. Tra la puzza di plastica bruciata, forse ancora in tempo per estinguere le fiamme, mi sono svegliata. In quel momento ho scelto di farle ardere, ho guardato in faccia tutti i miei mostri e li ho salutati per nome.
Qualche mese dopo l’incendio appena tolte le bende sono tornata in ufficio. Uno dei miei mostri l'avevo regalato ad un mio collega e sapevo che lui durante la mia assenza l’aveva riposto sulla scrivania di fronte alla mia ma speravo che quella vista mi avrebbe colpita meno.
Così non è stato ed è anche vero che ero io quella che si divertiva a costruire costruzioni con i Lego e soprattutto sono stata io a regalarglielo per giunta senza motivo visto che non era nè il suo compleanno nè il suo onomastico.
Non posso chiedergli di riporlo in un cassetto ma posso invece lasciare che il tempo mi aiuti a maturare una sana indifferenza al ricordo.
Il giudice mi ha accusata di incendio doloso e di omicidio colposo. Quella notte tra le fiamme è deceduta la parte di me iscritta all’albo degli Ingegneri Edili/Gestionali di mosti Lego.
Ora colleziono gechi di nome Arturo.

domenica, 15 maggio 2011

Peppino Ippoliti


Peppino Ippoliti lavora al Comune e la sua mansione è quella di girare per i condomini ed avvisare la gente del fatto che i palazzi in cui vivono in quanto inagibili vanno evacuati.
In media il preavviso è di circa tre ore e quando non trovano nessuno in casa lasciano un biglietto sulla porta, c’è chi corre il rischio di tornare e di non trovare più il palazzo.
Erano le tre di pomeriggio dell’otto marzo quando il Signor Peppino Ippoliti bussò alla porta di casa mia.
Mia mamma era all’oratorio a bere le tisane con le sue migliori amiche.
Disse: “entro le sei dovete lasciare la casa poi inizieremo con la dinamite”.
Io gli chiesi perchè, quella era la mia casa, il mio palazzo, la mia cameretta.
Pensavo a tutti i poster attaccati alle pareti, non sarei mai riuscita a toglierli in tre ore. Continuavo a chiedergli una motivazione e lui non rispondeva, disse solo “senti gnoma ho mal di pancia e se non vuoi espoldere con i tuoi poster entro le sei esci da questa casa, altrimenti resta nella tua cameretta ed esplodi con essa” poi andò via.
Mia mamma arrivò poco dopo, le dissi quanto mi era stato riferito e le consegnai la lettera che Peppino mi aveva lasciato. Non l’ho mai letta ma lei sembrava sollevata.
Era tranquilla, ai miei poster non ci pensava.
Poi mi disse prendi l’indispensabile alle cinque e quindici dobbiamo uscire.
Ci vollero due ore per staccare Babar dalla parete, l’avevo attaccato con tanta cura perchè volevo che rimanesse lì per sempre. Poi presi il diario, i quaderni, i libri, la felpa del napoli, due paia di pantaloni, tre paia di calzini e due paia di mutandine. Il reggiseno all’epoca ancora non lo portavo.
Abbiamo assistito all’esplosione, il palazzo ripiegò su se stesso, sembrava una scatola di cartone accartocciata. Un boato, poi il silenzio, continuavo a non capire.
Dopo un anno tornò a farci visita Peppino che nel frattempo aveva cambiato lavoro, la sua mansione era diventata quella di dire alla gente che la loro nuova casa era pronta e che potevano lasciare il container.
Mia madre anche quel giorno non c’era e l’approccio di Peppino era lo stesso.
Nella nuova casa i pavimenti non vibrano più al passaggio delle centoventisette, non ci sono più i vetri a soffietto, non c’è più  niente di quello che c’era prima ma c’è una colonna fecale funzionante.
Il lavoro di Peppino non era facile ma secondo me non lo sapeva nemmeno fare.
Io all’epoca ero solo una bambina, lui vecchio del mestiere poteva aiutarmi a capire.
Poteva dirmi la tua casa sta per crollare e se non la facciamo saltare in aria noi crolla comunque e tu potresti rischiare di rimanerci sotto, il Comune ti vuole bene e non vuole farti del male.
Io avrei pianto lo stesso tutti i mie vecchi poster ma almeno non avrei passato un anno a cercare di capire cosa c’era che non andasse nella mia vecchia casa.
Ma lui niente disse tre frasi in fila.
Disse che noi dovevamo andare via, che lui aveva il mal di pancia e che io ero una gnoma.
C’ho messo un pò a farmene una ragione ed inizio a stare bene nella mia nuova cameretta anche se non riesco a ricordare più i ricordi quasi come se fossero rimasti sotto le macerie.
L’esplosione si quella la ricordo bene, forse è per questo che spero di non incontrare più Peppino al circolo del paese, la sua presenza ancora un pò mi urta.  


martedì, 19 aprile 2011

L'Io negli uffici del cervello


Oggi ho letto che è stato scoperto il modo per esplorare la propria superficie mentale.  
Il paziente ingerisce una pillola che provoca la morte apparente poi il dottore infila un ago nelle dita dei piedi e ne aspira l'Io aggiunge allo stesso sostanze elettromagnetiche e lo rispara in vena trasportandolo tramite delle calamite fino al cervello.
Un volta arrivato a destinazione e grazie ad un repentino abbassamento della temperatura l'Io si solidifica ed inizia ad esplorare fisicamente la superficie mentale riuscendo per la prima volta a dare un volto ai pensieri ed alle idee.
L'articolo parla di varie superfici: pianeggianti, collinari, rocciose, sabbiose, melmose e sottolineava che le stesse sono in continua evoluzione.
Il movimento dei pensieri e delle idee ne determina la natura. Il vettore di questo movimento resta comunque l'Io, che chiaramente non conoscendoli di persona fa parecchia fatica a guidarli poichè gli stessi spesso non ne riconoscono l'autorità.
Si tratterebbe di una sorta di temporary assignment dell'Io negli uffici del cervello.
Un incontro volto a definire la linea strategica da seguire per il raggiungimento degli obiettivi.
Durante i vari meeting verranno stabiliti dei target in base ai quali annualmente le idee e i pensieri saranno valutati al fine di una loro eventuale promozione.
Il verso del granchio è il segnale che l'Io darà al dottore una volta giunto il momento di tornare a casa.
Il dottore rialzerà la temperatura esterna e lo riporterà allo stato liquido, l'infermiere preleverà l'Io per iniettarlo nuovamente nelle dita dei piedi.




domenica, 17 aprile 2011


Il padre di Giacomo


Devi fare networking, devi farti piacere la gente.
Ti serve perchè il babbo di lui compagno della mamma di lei ha il figlio che lavora dal fruttivendolo sotto casa e potrebbe aiutarti a trovare le patate novelle di stagione.
Devi conoscere la figlia del macellaio che può venderti la carne senza grasso.
Devi conoscere il figlio della lavandaia che può farti lo sconto sulla camicia macchiata di Didò.
Devi conoscere la figlia dell’oncologo così quando ti diranno che hai un cancro alle ciglia avrai già il medico di fiducia che potrà dirti: “mi dispiace hai quarantacinque secondi prima di vivere la morte”  quasi come se il fatto che ti stia dando del tu possa rassicurarti.
Nessuno ti dice che devi conoscere l’Ariario perchè l’aria ancora non si paga e non c’è nessuno che la vende, eppure qualcuno che la somministra gratis c’è.
Secondo me è il padre di Giacomo, il mio migliore amico conosciuto per caso mentre giocavo con i ragni nel garage ma lui di suo padre preferisce non parlare.
Dentro di te sai che sei in grado di scegliere le patete, che il cancro alle ciglia non ti verrà perchè al massimo potrà venirti quello ai polmoni a causa della ginnastica imposta alle tue dita come terapia d’urto contro le giornate che loro stesse trascorrono su un ratto a compilare file excel 2010.
E soprattutto sai che il giorno in cui ti sentirai dire lei ha un tumore, che te lo dica l’amico oncologo o l’oncologo sconosciuto farà lo stesso.
Che ti diano del lei o del tu di fronte alla morte non c’è rassicurazione, di fronte alla morte c’è la morte e basta, non ci sei più nemmeno tu.
Giacomo non mi ha mai raccomandata per la carne senza grasso o le patate novelle e anche volendo non avrebbe potuto però mi ha raccontato tante storie belle di daini messicani ed era lì quando suo padre mi ha regalato l’ultimo profondo respiro.

giovedì, 14 aprile 2011

Lo scoiattolo


Tanto più verde è il colore della foglia tanto più profondo e complesso sarà il suo distacco.
Fu quel verde che la spinse a prendere il volo e fu quando si colorò di giallo che tremante iniziò a staccarsi dal ramo.
Fino ad incupirsi oramai già cadùca nel marrone identificò il suo aspetto e fu allora che la coda dello scoiattolo con un sol gesto ne frantumò la forma.
Le briciole di sé nell’ombra ancora tendono a quel rosso che insito nel verde era la sua stessa linfa benchè incolore.
Là dove l’autunno negli alberi manifesta tutta la sue essenza,
di foglia mi tinsi e caddì.

martedì, 12 aprile 2011

Filomena


La mia vicina Filomena è alta un metro e ottantacinque centimetri ed è larga quanto il divano su cui trascorre la sua vita che ad occhio e croce sembrerebbe ad una piazza e mezzo.
Possiede quattro televisori al plasma, non sono quelli di ultima generazione ma a suo dire hanno un’ottima nitidezza d’ immagine.
Sono disposti sulla parete in fila indiana per fare in modo che li possa guardare tutti e quattro contemporaneamente limitanto i movimenti del collo.
Poverina, soffre un pò di cervicale.
Filomena ha una cultura infinita, che spazia da rai uno a italia uno.
I televisori hanno il cambio dei canali con messaggio vocale. Il telecomando non riesce ad usarlo bene, non capisce perchè quando prova a premere un tasto ne prende almeno tre.
Ogni tanto la sento gridare italia uno, rete quattro, canale cinque, rai due e devo dire che quando inizia a fare zapping è davvero un gran casino.
Filomena non esce mai.
L’unica volta che l’ho vista uscire è stata per il matrimonio del suo gatto persiano e la dovettero calare dalla finestra.
Spesso trascorro i miei pomeriggi con lei e mi racconta del suo sogno.
Sogna che il Sr Mc Donald un giorno le apra il Mc Home.
Non il Mc Drive ma il Mc Home.
Ricevere a casa hamburger, patatine fritte, crocchette di pollo, gelati, coca cole, con una sola telefonata e sempre con un telefono a messaggio vocale.
Urlando semplicemente l’uno uno uno potrebbe avere tutto quello che desidera.
Ai clienti di fiducia, che in media mangiano venticinque hamburger al giorno, il Mc Home  dovrebbe offrire il servizio di custodia chiavi di casa e garantire la consegna non solo a domicilio ma a divano.
Mia nonna mi racconta che Filomena prima di iniziare a sognare sul divano che gli altri le potessero realizzare i sogni era la donna più bella del villaggio, voluta da tutti ma chissà perchè mai presa da nessuno.  


martedì, 12 aprile 2011

Le tre porzioni


Tendo a cucinare sempre per quattro, forse perchè il quattro è il mio numero fortunato.
A tavola però sembro sempre sola, i miei tre amici quelli veramente veri non sono visibili a tutti.
Quei ragazzi che vivono con me pensano che io sia pazza e che parli da sola.
Il fatto che non si vedano non vuol dire che non esistano.
Alla fine però avanzano sempre tre porzioni.
Forse i miei amici non gradiscono? Oppure cucino per sette e mangiando in quattro ne restano fuori sempre tre?
Si, devo proprio esagerare con le porzioni!
Il mio papà a me mi dice sempre che sono brava a fare il ragù.
Io cucino solo il ragù, lo so fare bollito, fritto e al forno.
Le tre porzioni che avanzano diventano ragù al frigo.
Il ragù al frigo dura in media sette giorni.
Al settimo giorno sono costretta a buttarlo. Non tanto per lo strano odore proveniente dal frigo che secondo me è rotto, ma perchè quelle particelle animate che prendono vita sul mio ragù  parlano davvero troppo!

lunedì, 11 aprile 2011

Muoiono tutti


In amore non vince chi fugge.
Chi fugge sta scappando da qualcosa e non necessariamente da qualcuno.
Chi pensa di rincorrerre sta fuggendo da altro, che può essere indistintamente qualcuno o qualcosa.
Tutti che corrono, rincorrono, fuggono o scappano.
Chi rincorre prima o poi inciampa, batte il capo sul palo del semaforo e muore.
Mentre quello che fugge allo stesso semaforo buca il rosso e muore uguale.
Non si capisce più chi corre, chi rincorre, chi fugge, chi scappa.
In amore muoiono tutti.
In amore vince un pò chi  la mattina si alza e mentre si fa la barba canta “sei bellissimo” di Loredana Bertè e la dedica alla sua immagine riflessa.
In amore vince un pò chi scopa e basta e non perde tempo ad aspettare le aspettative e non canta “gli uomini non cambiano” della sorella di Loredana.
In amore vince un pò chi la sera va a letto solo e si addormenta raccontandosi delle partite a briscola con gli amici al circolo arci. Si diverte, ride con gusto, che non è il programma che va in onda dopo il tg5.
In amore quando si è almeno in due muoiono tutti, quando si è soli si vince un pò.

lunedì, 11 aprile 2011

Giugliacci


1 DICEMBRE 1802
Oggi ho comprato Donna Moderna.In prima pagina c'era Paris Hilton accompagnata da Maurizio Costanzo. E' risaputo a lui piacciono le bionde.
Con lei ho pulito i vetri, lui mi serviva per lo specchio.
Tutto nel rispetto pedissequo delle dimensioni dei due oggetti.
Ci sono casi in cui il caso e meglio lasciarlo fuori casa.
L'ho fatto per Giugliacci.
Stanotte, tersa sarà la sua immagine riflessa , quando con voce saccente e con quel dito invadente nel naso a dir poco invaso ribadirà nuovamente : “stai tranquilla, domani splenderà il sole!”.
“Invasato!!!Sei inattendibile, non è plausibile!” penserò con brutale rassegnazione.
Mentre con finta ma infinita dolcezza gli sussurrerò: “amore quante CAZZO di volte ti ho detto di non mettere le dita nel naso. Fa irritazione!”.
Ignorando consciamente la mia.
20 MARZO 1920
Oggi c'era lo sciopero degli edicolanti, non ho potuto comprare Donna Moderna e lui guardandosi allo specchio, con la solita aria saccente ma con le dita ormai legate, per la prima volta ha detto: “amore domani pioverà”. L'ho lasciato!
21 MARZO 1920
In casa splende il SOLE.I miei vicini hanno ritirato i panni. Dicono che fuori piove.
OGGI E' PRIMAVERA.

lunedì, 11 aprile 2011